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ragazza in smart working al computer
Riflessioni

Smart working in emergenza

Articolo scritto per il numero di Marzo – Aprile 2020 di “Quale Impresa” la rivista dei Giovani Imprenditori di Confindustria.

Stiamo attraversando un momento storico difficile: di quelli che rimarranno scritti sui libri di storia. Sì, ne abbiamo lette tante, ma molti di noi non hanno memoria diretta di un periodo simile. Dall’oggi al domani è cambiato tutto: sono cambiate le nostre vite, le nostre relazioni, le nostre libertà e il nostro modo di lavorare.

Smart working per decreto

Tempo fa parlavo dello smart working e di come questo implicasse un forte cambio culturale e tecnologico all’interno delle nostre aziende: piattaforme di collaborazione in cloud sì, ma soprattutto lavorare per obiettivi senza essere fisicamente presenti quotidianamente in ufficio.

Improvvisamente lo “smart working” è diventato per decreto l’unica forma di lavoro possibile in alcuni settori e per di più senza alcun tipo di contatto fra le persone: ci siamo trovati a dover mettere in piedi il nostro ufficio remoto con i mezzi di cui disponevamo, senza alcun tipo di progettazione e in maniera destrutturata.

federico bianchi fondatore smartworking srl

Federico Bianchi - Fondatore Smartworking srl

Per cercare di capire cosa sia successo nei primi giorni di lavoro remoto, ho intervistato Federico Bianchi, Fondatore di Smartworking srl, che ha effettuato una indagine qualitativa su un campione di 45 persone:

“Il primo grande beneficio del lavoro da remoto è che riusciamo a concentrarci più di quando siamo in ufficio. Le video-conference, inoltre, sono abbastanza sdoganate. L’elemento negativo più importante, invece, è stato quello del mancato contatto con i colleghi e il fatto di avere i figli a casa”.

Altro dato che esce dalla ricerca sono quelle che si chiamano lessons learned, ovvero quello che gli intervistati hanno imparato dal progetto (o dall’esperienza) e che devono ricordarsi per il futuro:

“Lo smart working è amico del digitale e nemico della carta. Ho bisogno di poter stampare a casa e digitalizzare di più in ufficio”, continua Federico Bianchi raccontando i feedback ottenuti.

La carta rimane quindi uno strumento efficace che aiuta a lavorare meglio, ma che non può essere utilizzata in origine perché difficile da portare in giro.

grafico su quanti lavorano da casa per la prima volta nel 2020

Analizzando i risultati dell’analisi qualitativa effettuata da Smartworking srl si evince come la maggior parte degli intervistati avesse già lavorato da casa in passato e che la valutazione di questa esperienza di lavoro si attesti su un voto alto per la quasi totalità di essi.

grafico di valutazione dell esperienza di lavoro da casa nel 2020

Il dato che emerge è la perfetta corrispondenza della percentuale fra coloro che non hanno sperimentato il lavoro da casa e chi ha valutato in maniera positiva l’esperienza. In realtà, analizzando i dati in maniera puntuale, si evince come i due risultati non siano direttamente collegati e che i tre fattori di frustrazione siano:

1. La totale assenza di condivisione con i colleghi dovuta alla quarantena;
2. La chiusura delle scuole e i figli a casa, aspetto anche questo legato alla situazione specifica;
3. Una connessione internet inadeguata (e questa è un’altra storia).

Progettare il domani

Più sì che no, nonostante le domande che sono emerse proprio in queste settimane e che riguardano quella che è la normativa che regola questa forma di lavoro.

ciro cafiero avvocato giuslavorista

Ciro Cafiero – Avvocato Giuslavorista

“Si apre un mondo a livello giuridico” – afferma Ciro Cafiero, Avvocato Giuslavorista dello Studio Legale Cafiero Pezzali e Associati – “Le barriere della normativa sulla privacy non rendono possibile controllare cosa le persone stiano facendo. La soluzione sta nella responsabilizzazione da parte dei lavoratori e del datore di lavoro: lo smart working si sta rivelando una forma costruttiva per difenderci dalla paura di cui siamo vittime e di cui tutto il Paese è caduto vittima. Ci consente, insomma, di immaginare il nostro futuro anche se da casa. Ci lascia progettare il domani.”.

È chiaro che quando tutto sarà finito, quando tutto tornerà gradualmente alla normalità, dovremo fermarci a riflettere su cosa è stato e su quali lezioni portare in azienda (le lessons learned di cui sopra): quello che stiamo facendo in questi giorni è un MVP dello smart working che nella maggior parte dei casi sarebbe più corretto catalogare come lavoro da casa. Lo smart working non annulla i contatti fra colleghi ma lascia la libertà di gestire il proprio tempo e i propri spazi. È un cambio culturale a 360 gradi che tocca tutta l’azienda e il mindset di tutte le persone che la compongono: è insomma molto più di quello che stiamo facendo oggi in emergenza.

Il Dpcm firmato in questi giorni dal Presidente del Consiglio dei Ministri ha reso il lavoro da remoto possibile anche senza alcun accordo individuale. La legge 81 del 2017, in realtà, ci dice che lo smart working è figlio di un accordo individuale con il lavoratore o di un accordo sindacale aziendale.

“Passata l’emergenza occorrerà sicuramente fare un passo indietro” – conclude Ciro Cafiero – “e perseguire la strada della legge 81/2017. Si tratta di vie molto facili da intraprendere perché smart working significa innanzitutto venire incontro all’azienda e al lavoratore. Se usiamo il buon senso ed evitiamo di cavillare sugli accordi abbiamo l’opportunità, attraverso lo smart working, di realizzare quello che l’articolo 46 della Costituzione Italiana ci suggerisce di fare da oltre settant’anni nell’ambito della partecipazione del lavoratore alla gestione e al benessere delle imprese.”.